Le novità legislative introdotte col nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (contenuto nel D.Lgs. 14/19) pongono domande e presentano scenari di complessità inediti per le imprese e i professionisti.
Con la riforma normativa, il focus si sposta dalla certificazione di uno stato di crisi aziendale, che avviene quando le misure da adottare per il salvataggio si sono ormai ridotte, alla necessità di individuare i segnali di un peggioramento dell’andamento dell’attività, prima di superare un punto di non ritorno, la linea di quell’ideale “orizzonte degli eventi” varcato il quale ogni cosa viene inghiottita dal “buco nero” del default.
Il primo punto da considerare è che non è più sufficiente fare affidamento sulla cassetta degli attrezzi fornita dagli indicatori propri dell’analisi di bilancio tradizionale: sono strumenti che ci permettono certamente di radiografare uno stato di salute, di renderci conto del trend dei risultati economici, finanziari e patrimoniali; tali indici sono spesso rivelatori di un deterioramento in atto delle condizioni generali di un’attività ma l’imprenditore non è sempre aiutato a leggerli nel modo migliore e in maniera tempestiva. Di più, all’imprenditore manca spesso la chiave per comprendere i motivi che hanno portato gli indicatori di bilancio ad assumere quei valori. Manca, in altri termini, l’individuazione delle ragioni che conducono alla loro determinazione.
Inoltre, queste riflessioni si intrecciano con le norme previste dal Codice del 2019 che richiedono l’instaurazione, a livello aziendale, di un grado di allerta molto più sensibile e capace di cogliere con più prontezza i mutamenti del contesto competitivo di riferimento, sia da parte del management che degli organi deputati al controllo.
Le imprese si troveranno così a familiarizzare, forse loro malgrado ma sicuramente per la loro sopravvivenza, con lo strumento della balanced scorecard (BSC). Strumento non più recentissimo – Robert Kaplan e David Norton lo descrissero per la prima volta in un articolo del 1992 – che può assumere ora una sua più stringente attualità. Vediamo perché.
La BSC si è evoluta nel tempo: da scheda di valutazione per le grandi aziende che individuava quattro direttrici d’azione per la direzione (nella scansione della prospettiva del cliente, economico-finanziaria, dei processi interni e dell’innovazione-apprendimento), è diventata una vera e propria mappa strategica, con una condivisione degli obiettivi e delle strategie di sviluppo che arriva a implicare ogni persona dell’organizzazione. Nonostante le modifiche e gli aggiornamenti subìti nel tempo, i principi alla base di una sua implementazione rimangono gli stessi: individuazione dei fini da perseguire e delle strategie, misurazione dei risultati sia sotto l’aspetto quantitativo che qualitativo (quest’ultimo molto spesso sfugge all’analisi gestionale classica), adozione di politiche efficaci per correggere le distorsioni e per migliorare le performances.
La sua peculiarità, ed è questa la sua appetibilità alla luce del bisogno di far emergere in anticipo un potenziale stato di crisi aziendale, risiede nello stretto legame fiduciario che si crea tra l’imprenditore (nonché il management) e il consulente, il quale è chiamato a fornire le linee-guida per la sua implementazione facendo propria la vision di chi gli dà credito.
Non più dunque l’analista di gestione che, leggendo i report trimestrali, comunica con asettica indifferenza al board che i conti sono in rosso; un commercialista che intenda intraprendere questo tipo di percorso deve sì conoscere i fondamenti del controllo di gestione e dell’analisi budgetaria, ma soltanto come l’approdo logico di un percorso che è iniziato molto prima. Un percorso che mette a nudo i processi aziendali, le dinamiche che si creano tra i dipendenti, col mercato, con i fornitori, con gli istituti di credito. È come se si smontasse l’impresa per rimontarla in un modo più funzionale. Naturalmente, questo presuppone una totale disponibilità da parte dell’imprenditore ad abbandonare vecchi schemi di ragionamento; da parte sua, invece, il commercialista deve mettersi in ascolto, comprendere e agire, insieme a esso.
Probabilmente, in un mercato italiano caratterizzato da un tessuto imprenditoriale costituito in prevalenza da piccole e medie imprese, la vera sfida è quella di rendere la BSC uno strumento fruibile da tutte le realtà aziendali. Mantenendo quei canoni che le hanno permesso di essere forse il principale strumento di direzione degli ultimi trent’anni, ma inserendo alcuni elementi di flessibilità che possano essere utili anche a un cambio di mentalità del titolare di una ditta individuale.