Occorre agire per inquadrare nel giusto contesto il nostro ruolo sociale: garanti di trasparenza e chiarezza nelle relazioni commerciali, difensori della carta costituzionale nel momento in cui si chiede di versare risorse alle casse statali secondo la propria capacità contributiva. Allo stesso tempo, però, siamo ferrei guardiani dello statuto del contribuente, perché le aziende e i cittadini non siano vessati in modo ingiusto. Inoltre, siamo persone capaci di comprendere l’imprenditore, stare al suo fianco e orientarlo verso le scelte economiche migliori per sé e i suoi lavoratori.
A dispetto di quanto appena esposto, è invece piuttosto evidente che, nel corso degli anni, l’appiattimento della professione del dottore commercialista su alcune, poche tematiche, ne ha determinato un forte attacco su materie non più esclusive e generaliste da parte di soggetti non sempre dotati del medesimo bagaglio di competenza, un attacco che ha contribuito a sminuire il valore della professione, frutto di un percorso di formazione strutturato e impegnativo.
Sotto un altro profilo, la crescente turbolenza del contesto di riferimento ha contribuito a creare soggetti iper-specializzati su determinate competenze ma a cui talvolta manca la capacità di affrontare con una visione unitaria i problemi dei cittadini e delle imprese.
Da qui ne è scaturita una progressiva perdita di autorevolezza nei tavoli istituzionali o al cospetto della pubblica amministrazione. Il professionista, stretto nella morsa dell’appiattimento e dell’iper-specializzazione, stenta a trovare quell’equilibrio che gli consenta di ottenere la considerazione che gli spetta, mentre soggetti dal dubbio e incerto percorso formativo imboniscono persone poco avvedute e ottengono grande visibilità sui media della comunicazione, resi forti da tecniche di marketing apprese e applicate in maniera a dir poco spregiudicata.
Il risultato è che si instilla nell’opinione pubblica la qualunquistica conclusione che i commercialisti e i “maghi delle tasse” siano sostanzialmente uguali e si crea, così, un clima di diffusa sfiducia in un contesto già di per sé non facile e roseo.
La difesa del ruolo del commercialista e delle sue competenze non deve passare, soltanto, attraverso una nuova e rinnovata sensibilizzazione delle istituzioni. È molto importante pianificare e promuovere anche campagne d’informazione di ampia portata per riporre al centro dell’attenzione un ruolo la cui importanza è stata da tanti dimenticata e fraintesa.
Ma anche il migliore slogan pubblicitario fallisce il proprio obiettivo se non è il singolo professionista a riconoscere di essere il primo a dovere cambiare e a riappropriarsi di quelle prerogative che forse non ricorda nemmeno di possedere. È ingannevole delegare a livelli superiori modifiche e riforme che devono essere pensate e attuate, anzitutto, nel responsabile approccio alla professione di ciascun commercialista.
Le iniziative “dal basso”, promosse da gruppi di colleghi che si mettono insieme per rispondere a un bisogno concreto, sono anche quelle più autentiche e che davvero mobilitano i livelli più “alti”, perché prendono sul serio e pongono al centro il problema con cui si scontrano nella quotidianità operativa dei propri studi.